Stavo parlando dell'argomento proprio pochi giorni fa con alcuni amici...bello che venga proposto qua (
oltre che molto interessante).
Riguardo i dati degli incassi degli anni '60 è naturale che sia così, se ricordiamo che, per tutti gli anni del boom economico, Cinecittà era riuscita a reggere ampiamente il confronto con il cinema straniero. Cinecittà è stata un po' l'Hollywood del dopoguerra (
se mi passate il confronto), e persino molti registi stranieri venivano a girare in Italia.
I film italiani degli anni '60, inoltre, rispecchiavano per la maggior parte soprattutto il diffuso benessere e l'agiatezza di cui l'Italia godeva...il cinema era uno specchio nel quale riflettersi, o perlomeno era ancora considerato "arte". La gente riusciva a riconoscersi nella pellicola: non si andava ancora al cinema per somigliare a qualcuno o per immaginare di essere il protagonista, ma per guardare sé stessi. E il cinema veniva ancora considerato "arte" a tutti gli effetti.
Purtroppo invece (
questo è infatti ciò che sostenevo l'altra sera) oramai tra il pubblico è passata l'idea che il cinema non sia arte, ma intrattenimento allo stato puro, senza un minimo di spessore.
Ogni volta che parlo con qualcuno che voglio portare al cinema, mi viene sempre detto "Ma no, dai, non andiamo a vedere questo...io vado a guardare un film per divertirmi, non per pensare". E' infatti questa l'idea imperante del pubblico odierno (
soprattutto italiano e statunitense...già in Francia o in Inghilterra le cose iniziano ad essere diverse): l'idea del cinema non come la tanto declamata "settima arte" ma come uno svago per non pensare. Ecco perché
Notte prima degli esami, le varie
Natalate becere della coppia Boldi/de Sica e altre boiate simili vengono poi premiate, al botteghino: perché non hanno spessore, non fanno pensare. Prendi, vai là, ridi (
o nel mio caso non ridi) e scivola via, come la maggior parte delle cose che vengono fatte oggi...intanto hai occupato due ore.
La cosa peggiore è che questo atteggiamento non è nemmeno un abitudine solo del cinema, ma un vero e proprio problema socio-culturale (
sembra che ingigantisco la cosa, ma personalmente sento moltissimo questa situazione): basti pensare che il programma più visto dell'estate è stato
Cultura moderna, che il più alto share dell'anno viene raggiunto dai reality e che i giovani tra i 14 ed i 24 anni sanno più cose della crisi Albano-Lecciso che della guerra in Iraq (
ho visto certe inchieste giornalistiche condotte tra i giovani da far rabbrividire...).
Vorrei inoltre ricordare che
un italiano medio compra meno di sette libri all'anno e ne legge meno di cinque, ultimi in Europa. In compenso abbiamo il più alto numero di cellulari pro-capite.
Il troppo benessere ha portato a questa vera e propria atrofizzazione culturale, dove si cerca di pensare il meno possibile e di avere sempre tutto a portata di mano; il troppo benessere e la poca cultura, che porta con sé la poca voglia di crescere intellettualmente e di formarsi, che porta a sua volta con sé la poca cultura. Circolo vizioso.
La situazione è veramente preoccupante (
non vorrei essere catastrofico, ma come ripeto questo problema è una mia vera e propria ossessione)...
P.S. C'è anche da dire che la maggior parte dei registi vecchi e nuovi, complice la politica sugli incassi e le logiche di profitto imperanti, si sono volontariamente appiattiti agli standard del cinema odierno. E comunque chi fa ancora cinema di un certo spessore viene prima o poi soffocato (
dalle case produttrici o dal pubblico, spesso da entrambi). Ovviamente questo è un discorso generale, non un'assolutizzazione (
non prende quindi in riferimento i soliti noti o le mosche bianche che riescono ancora a fare del cinema un'arte e che sono contemporaneamente premiati dal pubblico...ma sono una piccolissima minoranza che esula dalla norma).