
Formazione principale:
Peter Gabriel – voce, flauto, percussioni
Tony Banks – tastiere
Steve Hackett – chitarra
Mike Rutherford – chitarra , basso
Phil Collins – batteria
Discografia:
1969 - From Genesis to Revelation 5
1970 - Trespass 7,5
1971 - Nursery Cryme 9
1972 - Foxtrot 9,5
1973 - Selling England by the Pound 9,5
1974 - The Lamb Lies Down on Broadway 9,5
I Genesis nascono alla fine degli anni 60 nel pieno della rivoluzione del rock che porterà alla nascita del genere prog per presto divenire gli alfieri britannici della corrente e i più lesti, poi, anche se con risultati imho discutibili, a reagire alla controrivoluzione del punk che spazzerà via i cosiddetti ‘dinosauri’ (Yes primi tra tutti). L’inizio della carriera discografica dei Genesis è pero abbastanza deludente, non lasciando presagire nulla di quello che seguirà , ma prospettandoli più come una delle tante meteore (ancorchè mediocri) del rock di quegli anni: From Genesis to revelation è un disco inconsistente e prodotto (ma in ciò non hanno colpe) letteralmente ‘coi piedi’ da assoluti incompetenti e questo sicuramente non aiutò le fortune del disco , comunque sia povero di idee e con un solo brano da salvare (Silent Sun, però troppo mielosa e zuccherosa). I Genesis si rinchiudono in un cottage per settimane e sfornano sorprendentemente un disco di tutto rispetto , Trespass, con almeno due brani capolavoro (Stagnation, delicata , sognante, e all’opposto la spettacolare, potente e roboante The Knife, dall’incedere marziale), ma tutto il disco è di un altro livello rispetto al precedente (anche se con le solite pecche di produzione). Nei testi, che si risollevano moltissimo da quelli del disco precedente, vengono trattate storie disimpegnate, di sapore medievale , che raccontano di guerrieri, tradimenti, mondi fiabeschi. Il primo capolavoro è dietro l’angolo però, Nursery Cryme, con la meravigliosa copertina coloratissima ma dalle immagini quanto meno inquietanti: una bambinaia che gioca a cricket con teste di bambini, e il merito di questo balzo portentoso è sicuramente dell’istrionismo del leader, Peter Gabriel, che inizia per la prima volta a mettere in scena con travestimenti sempre più fantasiosi le storie che declama, del nuovo chitarrista, quello Steve Hackett che ha un modo assolutamente rivoluzionario di concepire lo strumento e la sua presenza all’interno dei brani, della rinnovata fiducia nei propri mezzi di Banks e Rutherford , spina dorsale di un sound complesso e affascinante, ma soprattutto, dobbiamo ammetterlo, dell’avvento di un batterista superbo , potente, tecnico come pochi, quel Phil Collins che successivamente prenderà in mano la leadership coi risultati che tutti conosciamo (altissimi commercialmente parlando ma sempre più bassi dal punto di vista prettamente artistico). I brani si allungano e i capolavori non mancano: Musical Box è di una bellezza sconvolgente, più di dieci minuti che trascorrono velocissimi, coi brividi che attraversano le ossa continuamente, The Fountain of Salmacis ha minor fortuna ma è altrattanto grandiosa, The Return of the Giant Hogweed rappresenta l’ulteriore evoluzione del discorso aperto da The Knife. Ma è con Foxtrot (altra copertina bellissima) che i nostri compiono il salto triplo mortale carpiato: solo i poco più di venti minuti di Supper’s ready, suite progressiva divisa in otto parti, vale l’acquisto dell’album e sono ancora venti minuti che trascorrono senza che ce ne si accorga , anzi alla fine si rimane quasi delusi , ‘così presto?…’; ma altri brani contribuiscono a dar vita al capolavoro: Watcher of the Skies (scritta sul tetto di una palazzina in una Napoli da sogno) e Get’em out by Friday , altro tour de force dell’istrionismo recitativo di Gabriel, e forte di un testo , stavolta, satirico e graffiante, quasi neorealista. La perfezione è a portata di mano e i nostri non si lasciano sfuggire l’occasione: ‘can you tell me where my country lies? Said the unifaun to his true love eyes…’ è l’attacco a cappella, celeberrimo, di Gabriel che apre la meravigliosa Dancing with the moonlit knight, prima di una serie clamorosa di perle contenute in Selling England by the pound , che già dal titolo mostra come i Genesis siano ormai definitivamente passati dal disimpegno alla pura satira sociale , alla critica profonda e lucida della società inglese dei loro tempi. Il brano è un continuo cambio di tempi, ritmi, assoli, il canto è anche recitazione e tutta la band sembra quasi voler rappresentare un’opera teatrale: in questo senso è parecchio significativa The battle of Epping forest laddove alla battaglia tra gang raccontata da Gabriel con fare concitatissimo si sovrappone, quasi combattendo con lui, la band con un sound che sembra riprodurre esattamente una guerra caotica fatta di colpi di scena continui fino allo sberleffo finale del nessun vincitore e vinto e del testa o croce per stabilire chi l’ha spuntata. Ma c’è anche Firth of fifth (capolavoro pianistico di Banks, degno di certe cose di musica classica) e la lunghissima , dolcissima, poetica The cinema show , da pelle d’oca. Gabriel è ormai padrone incontrastato dei destini della band e , più maturo degli altri, se ne fa carico, forse troppo, progettando , praticamente da solo, il concept album The lamb lies down on broadway, doppio vinile (e poi doppio cd) , il quale narra la storia di un tale Rael e del suo lungo viaggio (la storia è lunghissima e complessa, oltre che affascinante…). La teatralità dei Genesis raggiunge il suo apice massimo, punto di non ritorno, con la rappresentazione monumentale e sempre integrale dell’opera in questione per ben 102 volte dal vivo , con l’uso di maschere, travestimenti , scenografia e addirittura anche effetti speciali (famoso quello che ad un certo punto sdoppia Gabriel sul palco non facendo più capire al pubblico quale fosse quello vero). Il disco è bellissimo, inutile dirlo, forse per certi versi il migliore anche se decisamente ancora meno immediato dei precedenti, di difficile fruizione a causa della lunghezza e della complessità e da cui è impossibile trarre un brano piuttosto che un altro: tutti, uno dopo l’altro, sono cuciti in un insieme , un tutt’uno di bellezza inarrivabile. A questo punto però, dopo lo sforzo lancinante, Gabriel si sente svuotato e sorprendentemente lascia la band che aveva fondato e che dopo una lunga serie di provini finirà nelle mani di Collins. Gabriel spiegherà solo qualche anno più tardi , nel testo del suo primo brano da solista , Solsbury Hill, i motivi della sua rinuncia, per iniziare una carriera parallela a quella dei suoi vecchi compagni di viaggi costellata di tanti altri capolavori (come dimenticare la colonna sonora, Passion, dell’Ultima tentazione di Cristo di Scorsese, forse una dei capolavori del rock tutto?).
Spero davvero di leggervi in tanti sui Genesis...
